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La Farmacia Cinquecentesca di Roccavaldina
A Roccavaldina (ME), in una piccola ma suggestiva “bottega” medievale situata nella piazza del paese si conserva uno dei più preziosi corredi farmaceutici del XVI secolo esistente al mondo.
Oggi di proprietà del Comune di Roccavaldina, questa struttura è diventata il “Museo Farmacia Cinquecentesca” e pur nelle sue piccolissime dimensioni si presenta al visitatore in un effetto d’insieme che toglie il fiato portandolo indietro di 4 secoli.
L’apparato vascolare in dotazione alla Spezieria è costituito da 238 vasi di varia forma e dimensioni realizzati nel 1580 a Urbino, nell’officina di Antonio Patanazzi, come attesta la scritta sul piede di un’anfora da mostra: “M ANTO/NIO/PATAN/AZI/URBINI/1580”.
La stessa data è ripetuta entro cartigli nelle decorazioni a trofei di altri vasi del corredo.
La bellezza del corredo farmaceutico di Roccavaldina trova un degno confronto solo con quello appartenente alla farmacia del tesoro della Santa Casa di Loreto, composto da 348 pezzi prodotti anch’essi ad Urbino intorno al 1570 nell’officina di Orazio Fontana, su commissione del Duca Guidobaldo II, per il Palazzo ducale e poi donata, nel 1608 al Santuario quale ex voto.
Per le loro peculiarità stilistiche i due corredi si integrano e rappresentano un fondamentale riferimento per la ceramistica italiana di epoca rinascimentale, fornendo agli studiosi importanti elementi di studio sulle officine ceramistiche urbinati del Cinquecento, tenuto conto che i Patanazzi furono i continuatori della tradizione stilistica elaborata dai Fontana.
Si ritiene che anche i vasi della farmacia di Roccavaldina in origine superavano le 300 unità, parte dei quali nel tempo ha subito rotture o si è dispersa per motivi vari fino agli attuali 238 pezzi, suddivisi in 164 albarelli di varia altezza; 39 fiasche globulari a collo lungo; 29 brocche; 4 anfore ovoidali apode; 2 anfore da mostra con applicazioni plastiche a grottesca.
La decorazione dei vasi è molto interessante per policromia e accostamenti. Sugli albarelli grandi e medi e sulle anfore istoriate sono raffigurate scene con soggetti mitologici, biblici e storici, il tutto circondato da decorazioni raffaellesche (grottesche). 54 tra brocchette e albarelli presentano decorazioni a trofei d’armi, libri e strumenti musicali su fondo blu che incorniciano busti virili o muliebri chiusi da medaglioni a fondo giallo. 71 tra brocchette e albarelli medio-piccoli sono decorati a quartieri, a pezze regolari interrotte da tralci con foglie, fiori, uccelli. I vasi non riportano indicazioni farmaceutiche, ma su tutti c’è uno stemma araldico costituito da: “scudo troncato con banda arancione su turchino nella parte inferiore, colomba bianca e tre stelle su turchino nella parte superiore” esu alcuni vasi nella cornice dello scudo c’è il nome di Cesaro Candia.
Studi recenti indicano Cesare Candia come mercante messinese, erede dei grandi intermediari che nel Rinascimento importavano maioliche in Sicilia. Egli commissionò a botteghe urbinati faentine e veneziane grandi quantità di vasellame per gli speziali siciliani. Una caratteristica che accomuna i vasi di Roccavaldina ad altre ordinazioni a lui intestate è l’inserimento delle insegne di bottega nell’apparato decorativo e gli orientamenti estetici.
Quarantotto anni dopo la loro fabbricazione i vasi del “corredo Candia”, oggi custoditi a Roccavaldina furono venduti dal mercante messinese Francesco Benenato al roccese Don Gregorio Bottaro, il quale li acquistò per 400 onze da pagarsi in quattro rate donandoli nel 1628 alla Confraternita del SS. Sacramento costituita nella Chiesa Madre di Rocca, impegnandola a distribuire gratuitamente le medicine agli ammalati poveri di Rocca nella “bottega”, donata alla confraternita da Don Pietro Valdina nel 1626.
Il pregio artistico dei vasi della spezieria di Rocca è stato riconosciuto nei secoli e ciò a volte ha causato problemi, come quando, nel 1690, il viceré di Sicilia duca di Uzeda, che aveva sentito parlare di questi pregiati vasi, decise di “vederli” e chiese al principe Giovanni Valdina, di farne inviare a Palermo alcuni. Fu così che 4 vasi, lasciarono Roccavaldina per sempre.
La fama della farmacia di Rocca era nota anche all’abbate Vito Amico, che nel Lexicon siculum pubblicato nel 1757 scrive: “Commendasi una farmacia con grande eleganza adorna di vasi dipinti, siccome dicono, da Raffaello da Urbino o da altro eccellente artista”. Facendo seguito a tanta notorietà, la notte del 2 maggio 1871 dei ladri portarono via 6 vasi mai più recuperati.
Nel 1882 la soppressione delle corporazioni religiose, impose alla Confraternita del SS. Sacramento di cedere la “spezieria” che restò in custodia alla Chiesa Madre di Rocca fino al 1900 quando il corredo farmaceutico fu trasferito all’Ente Comunale Assistenza, sotto la tutela della Prefettura di Messina. Da quel momento, la farmacia di Roccavaldina restò nell’oblio fino al 1966/67 quando l’intero corredo di vasi fu portato a Faenza, ove venne restaurato con la collaborazione tecnica del Prof. Giuseppe Liverani, Direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche e per opera degli allievi licenziandi del corso di restauro dell’Istituto d’Arte “Gaetano Ballardini”.
Il corredo ritornò nella sua sede nel 1968 e oggi il Comune di Roccavaldina lo custodisce rendendo così fruibile ai visitatori, questo capolavoro dell’arte rinascimentale.